Privilegio. Così la chiamava la nonna, in arte Lulù, maitresse di un bordello dei primi del ‘900. La chiamava così perché riconosceva in lei un talento straordinario per quel mestiere che si tramandavano in famiglia.
Il suo destino sembrava già scritto, lo stesso della madre e della nonna.
Ma proprio questa apparente ineluttabilità fa germogliare in lei il seme della follia che cresce fino a distruggere tutto ciò che riconosce come malvagio, sporco. Le dona però anche la possibilità di riscatto e vendetta.
Ma cos’ è la follia se non una forma di verità non condivisa; un mondo parallelo semplice nella sua verità e terribile nella sua stigmatizzazione.
E’ con estrema semplicità che Privilegio narra, dal manicomio in cui è reclusa, i fatti crudi, disumani e talvolta surreali che avvengono al suo interno. Così come ricorda la sua infanzia con dolcezza ed ironia: I ricordi delle ragazze del bordello; dei suoi primi passi in quell’arte terribile e sublime; la sua conoscenza dell’umana specie da quell’osservatorio insolito e speciale.
Privilegio è una giostra. Una giostra di colori, emozioni, passioni, verità e illusioni.
Una giostra che sembra destinata a fermarsi, data l’inutilità del suo moto ripetitivo e senza scopo.
Ma, nel finale, la giostra si stacca dal perno che la trattiene, progetta il suo percorso e va incontro alla sua prossima meta. Una meta tragica ed ineluttabile. Una meta scelta con grande lucidità ed intelligenza dalla protagonista a dispetto del marchio di inferma mentale che le hanno impresso sulla pelle e nell’anima.
Alessandra D’ambrosio e Diana Del Monaco

Note di regia

Il testo in questione mi ha prodotto, fin dalla prima lettura, una gamma vastissima di sensazioni e suggestioni. L’interesse a prendermi cura della regia è nato, appunto, dalla molteplicità delle sfumature in esso presenti.
Si narra di un bordello e di un manicomio dei primi del novecento, abitati e vissuti dalla protagonista. Prima l’uno e poi l’altro. È in quel bordello, apparentemente normale, familiare, dove tutto scorre secondo un copione già scritto mille volte negli anni, che la sensibilità della protagonista viene ferita.
Se lei avesse avuto una sensibilità diversa o più ottusa, la sua vita non avrebbe avuto grandi scosse. Avrebbe finito la carriera col grado di maitresse che fu prima della nonna e poi della madre. Per il mondo una persona sana.
Ma la sua anima viene trafitta più volte dagli orrori che si celano nell’esercizio di una prassi millenaria. Si convince, a mano a mano, di dover fare giustizia. E giustizia sarà. Terribile. Gelida. La protagonista è artefice di una nemesi impeccabile. Per il mondo una persona insana.
Il racconto si svolgerà visivamente e sonoramente come una giostra, quella immaginata dalle autrici. Una giostra di colori, di suoni e forse anche di odori. I rumori, i suoni e gli odori di due mondi lontani, ma che convivono dolorosamente nella mente e nell’anima della stessa persona.
Gianfelice Imparato