Anna è una giovane donna che vive e lavora sola in una città lontana da casa. È una grigia impiegata e la sua vita è scandita da polvere e scartoffie. Fino all’incontro che le stravolgerà la vita. In un crescendo delirante e a tratti tragicomico, Anna si confronterà con il suo passato e i suoi fantasmi. Anna cappelli è una vittima; vittima del suo passato, vittima degli uomini, della condizione della donna negli anni ’60. Viene spinta alle estreme conseguenze della follia da un mondo che si rifiuta di comprendere e che non ha la forza di combattere. Anna vorrebbe lottare, emanciparsi, ma non ha gli strumenti per farlo. Vorrebbe non diventare mai come la vecchia signora con cui vive o come le colleghe di lavoro che non sopporta, ma non ci riesce, le manca la forza necessaria. E così non può che cedere ai suoi limiti, ai suoi impulsi, alla pazzia.

Note di regia

L’amore che Anna dedica al suo uomo rientra nel concetto di fusione, di possesso. Il sentimento che lei prova per Tonino è qualcosa di forte, profondo, connaturato e atavico. La dinamica relativa alla sua possessività è frutto del suo bagaglio personale, nonché socio-culturale. La parola “amore” viene interpretata nel senso di a-mors, dal latino “senza morte”, quasi a sottolineare l’intensità senza fine di questo potentissimo sentimento: Anna vuole Tonino in maniera per l’eternità.

La messa in scena vuole evidenziare il dolore di una donna che al culmine dello shock, si trasforma in pazzia, quel dolore subdolo e devastante dell’abbandono che rende Anna Cappelli vittima delle sue stesse fragilità. Rendere “proprio” l’altro significa portarlo a rispondere a propri bisogni affettivi derivanti dal passato che non potranno mai essere colmati.

Possesso che invade e amore che distrugge: due sentimenti forti che giocano in scena.