Un mondo fantastico, tenero e disperato affiora dalle tante lettere che Vincent scrisse all’adorato fratello Theo, gallerista, che si occupò di lui tutta la vita.

Un’energia vitale pazzesca, quasi indomabile. La consapevolezza, a volte straziante, di essere diverso dagli altri. In tutto. Nel vivere, nei rapporti umani ma soprattutto nell’arte. L’uso dei colori, faticosamente raggiunto in anni e anni di studi e schizzi. La volontà, testarda, ostinata, di reinventare la realtà, di ridarcela attraverso la lente fantastica dei suoi occhi. Il non rassegnarsi alla totale indifferenza del mondo verso i suoi quadri, il ripartire mille e mille volte ancora verso un futuro che sperava, prima o poi, si sarebbe accorto di lui. Nonostante la miseria, gli stenti, la mancanza di cibo.

E infine, la sua lenta e inesorabile discesa verso la pazzia, che lo trascinò negli ultimi anni in piccoli manicomi di paese dove, spesso volontariamente, si rifugiava.

Una vita. Un artista. I suoi meravigliosi fuochi d’artificio che, piano piano, lo arsero vivo