CLOROPHILIA, la cui etimologia deriva dalla traslazione del sostantivo “clorofilla”, pigmento vitale per le piante in quanto permette loro di ottenere energia dalla luce, esplora la possibilità di una redenzione attraverso il primordiale ritorno alle origini, alla capacità di riflettere sull’opportunità di rigenerazione, abbracciando tutto ciò che abbiamo distrattamente ritenuto poco utile, sostituendolo e sacrificandolo con il feroce cammino inarrestabile verso un pensiero unilaterale. CLOROPHILIA nasce in un momento storico segnato da una terribile pandemia che ci ha costretto a vivere nelle nostre case per molto tempo. Questo essere circoscritti forzatamente entro un limite, il non poter usare il contatto come mezzo di conoscenza e d’espressione, dà vita ad una riflessione costante e senza tregua che porta in un altro luogo, un unico spazio in comune dove veniamo illuminati, proprio come le piante, dalla luce.
Scene che segnano lo scandire del tempo apparentemente immobile, mansueto. All’interno dello spazio un piccolo mondo personale, pensato in memoria di quello che avevamo, così che il fuori diventa il dentro. Entrare in stretta connessione tra il microcosmo umano e macrocosmo naturale; un dentro da riempire. CLOROPHILIA è in effetti una sorta di ossigenazione dall’esperienza appena vissuta, ossia un momento fatto di reclusione, di pensieri, di azioni limitate in uno spazio delimitato. In questa creazione abbiamo condiviso le nostre personali sensazioni, le abbiamo trasferite in gesti, in istanti a tratti ripetitivi, abbiamo lasciato scorrere in noi quella parte di chimica che si sprigiona quando si condivide la stessa esperienza. Come l’acqua che si fa spazio insinuandosi attraverso le rocce, CCLOROPHILA, servendosi di una qualità di dialogo fatto di azioni costruite ed accumulate, trasferisce la personale idea del gesto da un contesto serrato ad un linguaggio comune. Scene che diventano immagini simboliche, figure significative, ancestrali, arcani misteriosi, messaggi pieni di significato.


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